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Diario

Ave, figlia del tuo figlio! - Vita Trentina 22 Maggio 2022

Maria nella Divina Commedia: l'intensa serata che ha segnato il ritorno "in presenza" di Gregorio Vivaldelli, biblista e appassionato interprete di Dante.

“I giorni di isolamento in cui non sapevamo più che fare, non sono stati forse per noi una ‘selva oscura’? Non avevamo tutti ‘smarrita la via’?”. Il ritorno in presenza della Divina Commedia firmata Gregorio Vivaldelli, premiato dal tutto esaurito al teatro Arcivescovile, è un sospiro di sollievo (pur trattenuto da una mascherina) dopo la frustrazione pandemica. E al biblista appassionato e appassionante di Dante, risulta immediata l’identificazione tra il “cammin” del Sommo Poeta e il dramma personale e collettivo da cui, con fatica, proviamo ad uscire.

D’altro canto, lo stesso papa Francesco, nella lettera Candor Lucis Aeterne scritta in occasione dei 700 anni dalla morte di Dante e citata in avvio da Vivaldelli, non nutre molti dubbi sulla spendibilità per l’oggi dei versi duecenteschi, paradigma della condizione terrena, inno alla misericordia di Dio e alla libertà umana. Lo stesso Francesco ricorda fin da subito il profondo legame tra la Commedia e il mistero dell’Incarnazione attuato grazie al sì di Maria, legando la “speranza nostra“ − come recita il titolo della serata e pure la splendida immagine finale con “L’Annunciazione” di Tanner − al volto di una “semplice ragazza”, nota il biblista rivano. Nel mese di maggio dedicato al culto a Maria, la proposta diocesana organizzata dalla Biblioteca Vigilianum è non a caso una preghiera in crescendo alla Madre di Dio, intessuta – nello stile ormai consolidato di Vivaldelli − di endecasillabi danteschi, versetti biblici, passaggi teologici, testi della letteratura laica e opere d’arte figurativa classiche e contemporanee. Su, su, tra cornici del purgatorio e cieli paradisiaci, scoprendo la genesi dell’Ave Maria e del Regina Coeli, fino all’esplosione del potente e noto inno di San Bernardo: “Vergine madre, figlia del tuo figlio…”

Il capolavoro dantesco è puntellato di “soste mariane” a dimostrazione della centralità della vergine di Nazareth – e più in generale del genere femminile, dalla testimonianza di Piccarda al ruolo chiave di Beatrice, ultima guida di Dante – nel percorso verso la Luce narrato dal poeta fiorentino. Se è vero che a Bonconte da Montefeltro basta esalare l’ultimo respiro in battaglia pronunciando il nome di Maria per essere strappato all’Inferno, la verità documentata nel poema sacro è che “Maria – sintetizza Vivaldelli – ha spalancato la porta all'amore di Dio per l’umanità”. E lo ha fatto mettendo in atto quella ricetta esistenziale basata sull’abbandono fiducioso alla volontà di Dio, al punto che è “possibile superare i vizi capitali – spiega ancora il biblista – solo scoprendo una gioia superiore. Per questo la strada per vincere l’orgoglio è uno scatto di umiltà” come dimostrano i “superbi schiacciati dal proprio io” e non a caso Maria, modello di umiltà per eccellenza, per Dante è addirittura in grado di “generare gli angeli che difendono dal grande seduttore”.

Nel documentare “l’eterno che si incrocia con il quotidiano” la poesia dantesca in Vivaldelli si mescola ai versi “laici”. E se fa forse meno notizia il Manzoni profeta della Provvidenza che dedica un inno sacro al “nome” di Maria (“che bello – osserva Vivaldelli – quando qualcuno ci chiama con il nostro nome”), desta certo maggiore sorpresa, scoprire, nelle incursioni letterarie del docente, un inedito Jean Paul Sartre che offre una pennellata straordinaria sul senso dell’Incarnazione: “L’ha portato nove mesi e gli darà il seno e il suo latte diventerà il sangue di Dio”.

In tempi di bombardamento informativo e di stimoli digitali, con il rischio di essere multitasking ma sostanzialmente incapaci di fare sintesi, il “sincretismo” artistico di Vivaldelli impastato di quotidianità familiare e sprazzi d’attualità (con digressioni spesso capaci di strappare un sorriso anche in tempi grami) è una sfida culturale azzardata per i puristi ma probabilmente provvidenziale, perché capace di armonizzare tante facce in un unico puzzle di umanità, in grado di intercettare sensibilità molto diverse tra loro. Serate così restano anche un modello di Chiesa in uscita. Dopo quest’ultima anche un non-credente o sedicente tale può tornare a casa con un pensiero di stima. Per Dante, certo, e per il suo “traduttore” trentino, ma soprattutto per quella ragazza ebrea che s’è fatta grembo accogliente per Cristo e modello di autentica speranza. Infine, la conferma di una profonda verità già accennata in avvio: chi comunica non solo “con” passione ma la propria stessa passione – e Vivaldelli lo fa con due ore di parole, immagini e pochi sorsi d’acqua – è in grado di lasciare il segno. Fors’anche quello della croce.

Articolo pubblicato su: Vita Trentina,  Domenica 22 Maggio 2022.

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